giovedì 2 febbraio 2012

Una analisi (seria) della situazione lavorativa


Ok, a parte la battuta infelice di Monti sul fatto che il posto fisso è monotono, penso sia venuto il momento di predendre coscienza di un paio di cose. Per prima cosa, rendiamoci conto che non avremo più un posto fisso: avremo solo due categorie di "lavoratori", cioè gli imprenditori (datori di lavoro) ed i dipendenti. Non sto parlando di ciò che sarebbe bello, non parlo di ideali. Parlo della realtà, e cerco di fare una previsione per il futuro sulla base della situazione attuale. Di fatto, gli imprenditori si sono resi conto che non conviene assumere a tempo indeterminato una persona. E, siccome il nostro lavoro dipende dall loro volontà di darci un lavoro, non avremo un posto fisso finchè gli imprenditori non lo vogliono.

Due anni fa, scrivevo nei miei appunti che la maggior parte dei lavori "manuali" può essere compiuta da robots e computers, rendendo dunque i lavoratori che eseguono questi compiti (i cosiddetti operai) completamente inutili. Tanto per fare un esempio, l'intero processo produttivo della FIAT potrebbe essere eseguito da macchinari, non ci sarebbe assolutamente bisogno di operai. Per ora, gli imprenditori sanno che non possono licenziare troppi dipendenti, perchè questi sono spesso anche loro clienti, e senza uno stipendio non potrebbero permettersi di comprare le cose che la ditta produce. Ma, dicevo due anni fa, entro dieci anni non avremo più bisogno di operai.
C'è un'altra cosa di cui dobbiamo tenere conto: di fatto, il lavoro è una merce come tutte le altre. E quindi si basa sul rapporto qualità prezzo. In pratica, per fare in modo che un imprenditore scelga il mio lavoro piuttosto che quello di un altro, ho due possibilità: posso abbassare il costo del mio lavoro oppure aumentarne la qualità. In poche parole, o mi abbasso lo stipendio (è quello il costo del lavoro principale), oppure faccio le cose meglio degli altri, magari faccio qualcosa di più. Il punto è che una macchina vincerà sempre su di me per quanto riguarda il costo del lavoro: un robot fa benissimo il lavoro manuale senza chiedere un particolare stipendio (costo solo in energia elettrica). Quello che un robot non può fare è il lavoro creativo. Un robot non può fare pensieri articolati, non può sognare, non può progettare nuovi oggetti.
Di conseguenza, l'unica strada che possiamo intraprendere, consiste nel cominciare a pensare. Non dobbiamo più essere noi ad assemblare l'automobile. Noi dobbiamo progettare la vettura.
Dunque la soluzione è diventare tutti ingenieri, tutti ricercatori, tutti "cervelloni"? In senso lato, sì. In realtà, non serve una laurea per usare la testa: per esempio cuochi, camerieri, piccoli rivenditori sono professioni sempre richieste, che devono per forza essere esercitate sul territorio (un ristorante non può certo essere portato all'estero) e che una macchina difficilmente potrà fare.

Certo un altro problema consiste nel fatto che siamo troppi. È una situazione che si ripresenta a cicli nella storia dell'umanità: cominciamo a crescere di numero in modo vertiginoso, finchè non superiamo le capacità del nostro sistema (sia dell'ambiente, sia del nostro sistema socio-economico). A quel punto interviene una guerra od una pestilenza a ridurre il numero di persone sotto il livello di guardia. Pensateci: se aprite un libro di storia, vedrete che le cose sono sempre andate così. Non è un caso che i libri si scrivano con le guerre o con le grandi carestie (è difficile trovare un capitolo dedicato ad un secolo di pace).
Il punto è che, nella nostra attuale situazione, stiamo per raggiungere il limite di sopportazione del pianeta.
Questa volta, però, oltre alla guerra ed alla carestia, abbiamo una ulteriore possibilità: renderci conto del pericolo cui andiamo incontro, e regolarci da soli per evitare di superare il livello di guardia. Possiamo capire che il controllo delle nascite è ormai una necessità. Possiamo capire che, forse, non ha senso spendere migliaia di euro per mantere in vita ultranovantenni (che, magari, hanno raggiunto le capacità intellettive di un vegetale). Possiamo capire che, se ora non rinunciamo ad alcune cose (avere più di due figli, tenere in vita persone che hanno smesso di essere tali diversi anni fa, eccetera) tra qualche decina d'anni dovremo dire addio a tutto. Dire addio ad un futuro per ciascuno dei nsotri figli, forse addirittura rinunciare alla nostra civiltà: non so cosa sembri a voi, ma io ho l'impressione che la nostra attuale situazione ricordi, per molti aspetti quella che ha portato alla caduta dell'impero romano d'occidente e l'inizio del medioevo. E, francamente, non sono così ottimista da pensare che l'uomo sia cambiato tanto da quei tempi: siamo sempre una tipologia di animali particolarmente egoista e violenta.

Ma torniamo al discorso iniziale. Quindi dobbiamo arrenderci all'idea di non avere mai un lavoro fisso? Sì e no. Ciò che conta è avere sempre un lavoro. In realtà, non importa che si tratti sempre dello stesso. Il meccanismo della "flessibilità" funzionerebbe benissimo in un contesto lavorativo in cui ci sia sempre.
Il problema del nostro sistema, invece, sta nel fatto che è misto: qualcuno segue ancora il "vecchio metodo" del posto fisso, altri, invece sono precari. In questo modo, un lavoratore flessibile non riesce a trovare lavoro perchè i posti disponibili, per i lavori a contratto sono pochi. Se invece fosse possibile una sorta di turnazione completa il problema, di fatto, non esisterebbe. al massimo si rimarrebbe senza lavoro per uno o due mesi, e lo Stato non avrebbe difficoltà a provvedere uno stipendio minimo per i lavoratori non impiegati.
Vi starete chiedendo come mai proponga una soluzione simile, piuttosto che suggerire di tornare all'obbligo del posto fisso per tutti. È molto semplice: ormai gli imprenditori si sono abituati all'idea di potersi "liberare" rapidamente dei lavoratori. Se li obbligassimo, per legge, ad assumere le persone a tempo indeterminato, la maggior parte dei grandi industriali lascierebbero il nostro paese, per andare a stabilire gli impanti di produzione, ed il resto delle aziende, all'estero, in paesi dove possono fare ciò che vogliono. Il problema è che, se se ne vanno le grandi aziende, una buona parte dei lavoratori resterebbero disoccupati. Per esempio: se la FIAT se ne andasse del tutto dall'Italia, migliaia di lavoratori sarebbero sul lastrico. E non possiamo certo obbligare una azienda a restare nel nostro paese. Non sto dicendo che sia bello o che sia brutto, non esprimo giudizi. Cerco solo di guardare la realtà con una visione d'insieme. E la realtà è che l'imprenditore, il datore di lavoro, è ormai abituato ad avere una certa libertà nel licenziamento, e non accetterebbe mai di tornare indietro. È un po' come se oggi giorno ci dicessero di andare a piedi da Roma a Milano (od a cavallo di un ciuco): non potremmo accettarlo. Eppure fino ad un paio di secoli fa era perfettamente normale. Il punto è che, una volta che abbiamo sperimentato una comodità, non vogliamo più farne a meno, soprattutto se utilizzarla non ci costa troppo. Così come, oggi giorno, non ci costa troppo andare da Roma a Milano in automobile, in treno, od in aereo,  così alle grandi aziende non costa troppo chiudere i battenti in Italia e trasferirsi completamente in un altro paese. Tanto il meccanismo della globalizzazione permetterà loro di continuare a fare affari con tutto il mondo. Il problema è che, nel frattempo, noi avremo migliaia di disoccupati in più.

1 commento:

  1. Nel caso non mi crediate, quando dico che gli operai vengono sostituiti da robot: http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/414019/

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